La riparazione dell'errore giudiziario è stata introdotta nel codice di procedura penale, approvato con D.P.R. 477, ed è disciplinata dagli art. 643 e 644 c.p.p.
L'art. 643 riguarda il diritto a un risarcimento in caso di errore giudiziario, mentre l'art. 644 da indicazioni in caso di morte del condannato.
Come per la riparazione per ingiusta detenzione, le fonti normative della riparazione dell'errore giudiziario sono rinvenibili tra le seguenti norme internazionali:
Il diritto alla riparazione dell'errore giudiziario ha anche fondamento costituzionale, rintracciabile nell'art. 24 della Costituzione Italiana, il quale cita:
"Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento".
L'art 643 recita: "Chi è stato prosciolto in sede di revisione, se non ha dato causa per dolo o colpa grave all'errore giudiziario, ha diritto a una riparazione
commisurata alla durata dell'eventuale espiazione della pena o internamento e alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna. La riparazione si attua
mediante pagamento di una somma di denaro ovvero, tenuto conto delle condizioni dell'avente diritto e della natura del danno, mediante la costituzione di una rendita
vitalizia. L'avente diritto, su sua domanda, può essere accolto in un istituto, a spese dello Stato. Il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della
pena detentiva che sia computata nella determinazione della pena da espiare per un reato diverso, a norma dell'articolo 657 comma 2."
Dunque, il legislatore attribuisce alla vittima dell'errore giudiziario un vero e proprio diritto ad una riparazione commisurata alla durata della pena espiata ed alle
conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna.
La riparazione si attua:
L'art. 644, comma 1, indica che in caso di morte del condannato, anche prima del processo di revisione, la riparazione spetta:
Secondo l'art. 644 c.p.p., comma 2, a tali persone non può essere assegnata a titolo di riparazione una somma maggiore di quella che sarebbe stata liquidata al prosciolto. La somma destinata al risarcimento viene ripartita equamente in ragione delle conseguenze derivanti dall'errore a ciascuna persona.
La domanda va proposta a pena di inammissibilità entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza di revisione e deve essere presentata,
unitamente a tutti i documenti ritenuti utili, personalmente o per mezzo di procuratore speciale, nella cancellaria della Corte di Appello che ha pronunciato
la sentenza di revisione. (art. 645 comma 1 c.p.p.).
In caso di decesso del condannato, le persone indicate nell'articolo 644 c.p.p. possono presentare la domanda nello stesso termine.
Se la domanda è presentata soltanto da alcune delle predette persone, questi devono fornire l'indicazione degli altri aventi diritto.
La domanda con il provvedimento che fissa l'udienza è comunicata al pubblico ministero ed è notificata, a cura della cancelleria, a tutti gli interessati
che non hanno presentato la domanda. Gli interessati che dopo aver ricevuto la notifica non presentano la propria richiesta nei termini e nelle forme previsti dall'art.
127 c.p.p, comma 2, decadono dal diritto di presentare la domanda di riparazione per errore giudiziario (art. 646, comma 2).
Bisogna sottolineare che la riparazione dell'errore giudiziario, come la riparazione per ingiusta detenzione, non si configura come risarcimento ma come indennizzo,
in base a principi di solidarietà per chi è stato ingiustamente condannato. Esso può essere ricollegato alla figura dell'"atto lecito dannoso": l'atto
lesivo alla base della riparazione dell'errore giudiziario è stato emesso nell'esercizio di un'attività legittima da parte dello Stato, ma in tempi successivi
ne è stata dimostrata l'erroneità.
La giurisprudenza, soprattutto della Suprema Corte, ha contribuito a definire i contorni dell'istituto soffermandosi su alcune questioni che erano state poste all'
attenzione dell'interprete.
Ex multis, si segnalano le seguenti pronunce:
Cassazione penale sez. IV 16 gennaio 2015 n. 4662
" È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 643 cod. proc. pen., per contrasto con artt. 3 e 24, quarto comma, Cost., nella parte in cui non prevede il diritto alla riparazione anche in relazione alla revoca della misura di prevenzione personale o patrimoniale, con effetto "ex tunc", in rapporto al diverso trattamento sanzionatorio previsto per i casi di revisione della condanna penale, trattandosi di situazioni diverse, non comparabili, e non essendo irragionevole una scelta legislativa differenziata."
Corte appello Napoli sez. VIII 24 luglio 2012
" In ordine alla quantificazione dell'indennizzo per la riparazione dell'ingiusta detenzione, va ricordato che esso si deve fondare su una valutazione equitativa che tenga conto non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà, e ciò sia per effetto dell'applicabilità, in tale materia, della disposizione di cui all'art. 643 comma 1 c.p.p., che commisura la riparazione dell'errore giudiziario alla durata dell'eventuale espiazione della pena ed alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna, sia in considerazione del valore "dinamico" attribuito dall'ordinamento costituzionale alla libertà personale, che impone una valutazione equitativamente differenziata caso per caso degli effetti dell'ingiusta detenzione."
Cassazione penale sez. IV 20 gennaio 2012 n. 10878
" In tema di riparazione dell'errore giudiziario, la liquidazione del danno patito va commisurata alla durata dell'espiazione della pena e alle conseguenze personali e familiari derivate dalla condanna: non possono, invece, essere compresi i costi sostenuti per il giudizio di revisione, che esulano dal concetto di conseguenze personali, né le spese della difesa nel giudizio conclusosi con la condanna, non potendo considerare le stesse "derivanti dalla condanna", come richiesto testualmente dall'art. 643 c.p.p."
Cassazione penale sez. IV 05 novembre 2009 n. 43978
" In tema di riparazione del danno per ingiusta detenzione, il giudice, nella sua valutazione equitativa, che non può mai comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito, deve tener conto non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà, in ragione dell'applicabilità in materia della disposizione dell'art. 643, comma 1, c.p.p. - che commisura la riparazione dell'errore giudiziario alla durata della eventuale espiazione della pena ed alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna - ed in considerazione del valore "dinamico" che l'ordinamento costituzionale attribuisce alla libertà di ciascuno, dal quale deriva la doverosità di una valutazione equitativamente differenziata caso per caso degli effetti della ingiusta detenzione."
Cassazione penale sez. IV 02 ottobre 2008 n. 40926
" In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, nel liquidare l'indennità il giudice è vincolato esclusivamente a non superare il tetto massimo normativamente stabilito, ma non è tenuto a ripartire proporzionalmente tale importo tra le tre voci di danno elencate dall'art. 643 cod. proc. pen., né può fissare per le stesse un ulteriore limite individuato nella terza parte di quello massimo."
Cassazione penale sez. III 17 gennaio 2008 n. 11251
" In tema di danni provocati dall'attività giudiziaria, non è configurabile alcuna ipotesi risarcitoria in relazione alla c.d. "ingiusta imputazione", ossia all'imputazione rivelatasi infondata a seguito di sentenza di assoluzione, esulando essa dalle ipotesi normativamente previste dall'ordinamento vigente, che ammette la riparazione del danno, patrimoniale e non, unicamente nei casi di: a) custodia cautelare ingiusta (art. 314 c.p.p.); b) irragionevole durata del processo (l. 24 marzo 2001, n. 89, c.d. Legge Pinto); c) condanna ingiusta accertata in sede di revisione, c.d. "errore giudiziario" (art. 643 c.p.p.)."
Cassazione penale sez. III 17 gennaio 2008 n. 11251
" In tema di danni provocati dall'attività giudiziaria, l'ordinamento vigente prevede la riparazione del danno, patrimoniale e non patrimoniale, patito segnatamente a seguito delle situazioni di custodia cautelare ingiusta ex art. 314 cod. proc. pen., di irragionevole durata del processo in ragione della cosiddetta legge Pinto e di condanna ingiusta accertata in sede di revisione a norma dell'art. 643 cod. proc. pen., senza invece contemplare alcun indennizzo per una imputazione "ingiusta", cioè per una imputazione rivelatasi infondata a seguito di sentenza di assoluzione. (Nella specie il ricorrente, esercitante la professione di avvocato, invocava la riparazione del danno derivatogli per il decremento medio dei guadagni professionali patito dall'inizio della carcerazione sino alla emanazione della sentenza di assoluzione). "