LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. BATTISTI Mariano -Presidente-
Dott. CAMPANATO Graziana -Consigliere-
Dott. MARZANO Francesco -Consigliere-
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe -Consigliere-
Dott. BRICCHETTI RENATO -Consigliere-
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.D., nato il (OMISSIS);
nei confronti del MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;
avverso ORDINANZA del 01/05/2006, CORTE APPELLO di ROMA;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CAMPANATO Graziana;
lette le conclusioni del P.G. Dr. D'AMBROSIO Vito, che ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza impugnata,
in ordine al terzo motivo, assorbito il secondo e il rifiuto del primo motivo.
OSSERVA
P.D. con istanza in data 3.8.05, tramite il suo difensore e
procuratore speciale, chiedeva la riparazione dell'errore giudiziario di
cui era stato vittima , essendo stato condannato dal Tribunale di Napoli
con sentenza emessa in data 3.3.94, divenuta irrevocabile in data 16.1.95,
alla pena di anni tre , mesi sei e L. 15.000.000 di multa perché
ritenuto colpevole di illecita detenzione di kg. I ,94 di hashish. Per
detta condanna aveva anche subito la carcerazione del 25.3.98 al 13.7.98. A
seguito di giudizio di revisione la Corte d'Appello di Roma revocava con
sentenza in data 28.1.04 la suddetta condanna, assolvendolo dall'imputazione per non avere
commesso il fatto.
Lamentava di avere subito, oltre alla detenzione , numerose traversie,
quali la "coatta emigrazione" in Gerrnania con interruzione dei rapporti
personali con i congiunti rimasti in Italia, per cui chiedeva la
liquidazione della somma di €375.000,00.
La corte adita riconosceva al P. per il titolo azionato la somma di
€.15.000 per il danno patrimoniale in conseguenza del mancato reddito
da attività lavorativa nel periodo della carcerazione, la somma di
euro 40.000 per danno biologico e di 15.000 euro per danno morale per un
totale di 70.000 euro.
Avverso detta ordinanza, emessa in data 1 1 maggio 2006, il P. ha
proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge sia per il
mancato riconoscimento delle spese legali sostenute nel giudizio
presupposto di revisione, sia per le spese poste a suo carico nel
procedimento in corso in considerazione della mancata costituzione in
giudizio del Ministero dell 'Economia e delle Finanze. Sostiene il
ricorrente che l'errore compiuto dal giudice si fonda sull 'equiparazione
della disciplina relativa all'errore giudiziario con quella della
riparazione per ingiusta detenzione, in relazione alla quale si è
prodotta la giurisprudenza che esclude la condanna al rimborso delle spese
alla parte istante nel caso in cui il Ministero non si oppone alla domanda.
Trattandosi, invece, di due istituti diversi, con connotazioni proprie, non
sarebbero mutuabili dal primo gli orientamenti giurisprudenziali in tema di
spese.
Con il secondo motivo viene dedotta la manifesta illogicità della
motivazione in relazione alla omessa valutazione della documentazione
prodotta a sostegno della domanda in quanto la corte aveva preso in
considerazione solo la mancata produzione di reddito nel periodo della
carcerazione conseguente all'estradizione, durata I IO giorni e non anche
il ben più rilevante intervallo temporale di quattro anni e sette mesi
nel quale egli e la sua famiglia erano stati gavati dagli effetti della
sentenza di condanna, rimanendo isolati in terra straniera in attesa della
pronuncia di revisione.
Viziata di illogicità era anche il mancato riconoscimento delle spese
sostenute per il giudizio di revisione, spese che andavamo commisurate alla
durata del procedimento e che costituivano pregiudizi patrimoniali
direttamente connessi alla causa petendi di riparazione dell'errore
giudiziario.
Con il terzo motivo il P. deduce violazione di legge in relazione agli
artt.143 comma 2 e 242 comma 1 c.p.p. circa i poteri dell'Autorità
procedente di disporre la traduzione della documentazione in lingua tedesca
acclusa alla domanda di riparazione, specificatamente le allegazioni n.
18,19 e 20.
Sostiene il ricorrente che la corte aveva errato nel non disporre detta
traduzione , tenendo conto della documentazione citata solo come valore "
di generico orientamento", pur dimostrando di avere inteso in concreto la
loro natura, avendoli indicati correttamente come "relazione sanitaria" e
"retta e prestito universitario di A.P."perché l'obbigo
dell'uso della lingua italiana riguarda il momento della formazione degli
atti da compiere nel procedimento, non anche gli atti da acquisire nel
medesimo, dei quali il giudice deve disporre la traduzione a sensi dell
'art. 143 comma c.p.p.
Il vizio denunciato , secondo il P., deve ritenersi particolarmente grave
in relazione alla consulenza medica ( documento n.20 )che illustra le sue
condizioni di salute, all'esito dell'asportazione del polmone per
neoplasia, dato necessario per stabilire l'entità del danno biologico
che nell'ordinanza è stato determinato in via equitativa, anziché
attraverso il criterio tabellare.
Infine il ricorrente deduce l'ulteriore errore compiuto dalla corte che gli
ha riconosciuto il danno morale e non anche il danno esistenziale che
consiste nel pregiudizio derivante dalla sottoposizione al processo, dalla
perdita della libertà e dal mutamento conseguente, anche dopo la
remissione in libertà, del precedente stile di vita.
Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo il rigetto del primo motivo
riguardante il riconoscimento delle spese ed in accoglimento del terzo, in
esso assorbito il secondo, I ' annullamento dell 'ordinanza con rinvio.
Il difensore del ricorrente con memoria di replica depositata ex art.611
u.p. c.p.p. ha precisato che la questione del rimborso delle spese non
riguarda gli oneri della procedura di riparazione, ma le precedenti fasi
giudiziarie, comprensive delle attività di ricerca della prova di
innocenza. Sotto questo profilo il riferimento del Procuratore Generale al
principio di soccombenza sul quale si fonda la condanna alle spese a carico
del citato Ministero sarebbe ultroneo.
Nonostante con la memoria di replica la difesa del ricorrente assume di
avere dedotto solo la erronea ed illogica decisione relativa al
riconoscimento delle spese sostenute per il procedimento di revisione, si
osserva che con il primo motivo di doglianza la questione è stata
posta anche in relazione alle spese relative al giudizio di riparazione
dell'errore giudiziario e che solo in ordine a questa richiesta il P.G. ha
richiamato il principio di soccombenza.
Con riferimento invece alle spese per il giudizio di revisione il rigetto
è stato motivato sulla mancata previsione di tale rimborso nella
disciplina di cui all 'art.643.
Effettivamente la norma fa riferimento per la liquidazione della
riparazione alla durata della eventuale espiazione di pena ed alle
conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna.
Nessun richiamo viene effettuato ai costi del giudizio di revisione, che
esulano dal concetto di conseguenze personali, in quanto non è
rintracciabile nel sistema un principio che ponga a carico dello tato le
spese sostenute dall'imputato per il giudizio nel quale viene assolto (
questo principio viene invece affermato nell'attuale progetto di legge
delega per la riforma del codice di procedura penale ).
Le conseguenze personali sono quelle che ineriscono alla salute, al
pregiudizio cagionato sul piano lavorativo, affettivo, cui si aggiungono le
conseguenze più strettamente familiari.
Quanto alle spese per il procedimento di riparazione correttamente
l'ordinanza ha fatto riferimento al principio di soccombenza, non
ravvisabile nel caso di specie, in cui il Ministero dell'Economia e delle
Finanze non si è nemmeno costituito in giudizio e dunque non ha svolto
alcuna opposizione. Il fatto che la giurisprudenza di questa Corte si sia
fon•nata nell'ambito della riparazione per ingiusta detenzione non
è rilevante, perchè i due istituti, sia pure autonomi per alcuni
versi, richiedono entrambi un'azione legale per il riconoscimento della
riparazione, non potendo la Pubblica amministrazione procedere alla
liquidazione se non attraverso una decisione giurisdizionale.
Entrambi i procedimenti pertanto rivestono i caratteri di una lite
necessaria che obbliga il cittadino a rivolgersi al giudice per ottenere
l'equo indennizzo ed il giudice a verificare la sussistenza di cause
ostative ed, una volta escluse le medesime, a procedere alla liquidazione
secondo analoghi principi aderenti all'equità, anche se le
modalità della riparazione per l'istituto dell'errore giudiziario
possono assumere forme diverse dal pagamento di una somma di denaro.
In relazione agli altri motivi di doglianza che possono essere trattati
unitariamente va per prima affrontata la questione relativa al dovere del
giudice di prendere in esame anche i documenti scritti in lingua straniera
e disporne la traduzione per la loro completa comprensione.
Il ricorrente ha richiamato l'art. 143 c.p.p. che afferma tale dovere ed ha
distinto l'uso della lingua italiana nella formazione degli atti del
processo dalla lingua in cui gli atti preforrnati possono essere redatti
senza che ciò comporti limitazione di acquisibilità, se rilevanti
al fine della decisione.
Se la disciplina di cui innanzi consente tale acquisizione e dispone la
traduzione degli atti scritti in lingua straniera, traduzione alla quale il
giudice non si può sottrarre se li ritieni rilevanti , essa tuttavia
non è applicabile nella procedura relativa alla riparazione.
Detto procedimento, sia che si tratti di riparazione per l'ingiusta
condanna,o per l'ingiusta detenzione, ha natura civile, ancorché sia
inserita in un procedimento penale per ragioni di opportunità ( Cass.
Sez. IV sentenza n. 1740 del 15.3.2000 RV 216484, Reichast ).
In sede civile ( art. 122 c.p.p.) la nomina del traduttore dei documenti
che non sono scritti in lingua italiana è facoltativa da parte del
giudice che la dispone ad istanza della parte, la quale è tenuta a
sopportame le spese. ( Cass. 17.12.94,n.10831 )
Nel caso di specie non risulta che la parte abbia allegato la traduzione o
l'abbia chiesta al giudice. Per altro questi ha dimostrato di comprenderne
almeno nella sostanza il contenuto.
Un documento riguardava il prestito per gli studi della figlia dell'istante
e l'altro documento era una perizia sulle condizioni di salute del P..
La corte ha altresì preso in esame tutte le voci di danno richieste
dall'istante ed ha considerato anche la durata della detenzione sofferta in
seguito all 'estradizione.
Inoltre nel riconoscere il danno economico per la perdita del reddito non
ha considerato solo il periodo della detenzione, come assume il ricorrente
( in questo caso non sarebbe giustificata la somma di €15.000 per
soli 110 giorni di carcere ) , ma anche le conseguenze di diminuzione del
reddito per il periodo successivo a causa delle conseguenze psicofisiche.
Analogo uso dell'equità il giudice ha effettuato nella valutazione del
danno biologico conseguente au perdurare durante l'attesa della definizione
del giudizio di revisione,dello stress incidente a livello mentale e
psicologico, ritenendo non utilizzabile il criterio tabellare per la
difficoltà di stabilire la percentuale di invalidità.
Infine, pervenendo alla liquidazione del danno morale, il giudice ha
considerato anche il danno esistenziale , dando atto della più recente
interpretazione di questa Corte in tema di danno risarcibile a sensi
dell'art.2059 c.c..
Pertanto è stat&tenuta presente la sofferenza provocata dalla
condanna e dalla parziale espiazione della pena , il mutamento di vita
anche per le persone di famiglia.
Sul punto il ricorrente sostiene che la somma riconosciuta è incongrua
perché è dovuto vivere all'estero per molto tempo, anche se
risulta che lo stesso si era trasferito in Germania, ove lavorava sin dal
1991 dove venne arrestato nel 1998 in esecuzione di due provvedimenti
coercitivi (l'ordine di esecuzione della sentenza di condanna e la misura
cautelare relativa ad un altro procedimento pendente avanti l'autorità
giudiziaria di Napoli), di cui veniva a conoscenza solo al momento dell'arresto.
Quanto all'obbligo per la famiglia e per lo stesso P. di rimanere in
terra straniera sino alla sentenza che lo riabilitava non è dato saper
su quali ragioni esse si siano fondate e se veramente il protrarsi del
perrnanere in Germania sia stata una scelta condizionata o libera come lo
era stata prima della conoscenza della condanna.
Per altro, nonostante le doglianze espresse sull'uso dei parametri
valutativi da parte del giudice della riparazione, il ricorrente non indica
quali siano state in concreto le diverse valutazioni, facendo un generico
riferimento per il danno biologico alle tabelle, nulla indicando per la
perdita di reddito ed affermando la mancanza di riconoscimento per il danno
esistenziale che invece la corte ha riconosciuto.
Pertanto il ricorso è destituito di fondamento perché il giudice
della riparazione ha riconosciuto tutte le voci di danno reclamate e le ha
liquidate dando ragione della necessità di un giudizio equitativo .
Tale scelta non è irragionevole, né in contrasto con le
finalità dell'istituto che, fondato su principi di solidarietà
sociale riconosce all'istante non un pieno risarcimento del danno, ma un
giusto indennizzo che presuppone una liquidazione equitativa.
Il P. richiama alcuni documenti, ma non spiega quali diversi effetti
sarebbero intervenuti nel caso fossero stati ritenuti fondanti della
domanda.
L'asportazione di un polmone per neoplasia non necessariamente è
determinato da una situazione di stress . Il ricorrente non spiega in che
modo il giudice dovesse ravvisarne il nesso eziologico, né quando la
neoplasia sia insorta, né quali fossero le sue condizioni di salute
preesistenti, per cui la corte va valutato il danno biologico senza tenere
conto di tale invalidità specifica.
Nemmeno in questa sede l'istante è più preciso e limita la sua
censura ad una doglianza affermata, ma senza alcuna precisa indicazione dei
dati contenuti nella perizia non solo in tema di accertamento di tale
menomazione, ma anche di riconducibilità della medesima alle vicende
processuali.
Quanto alla misura della liquidazione, il sindacato di legittimità
nella soggetta materia è ancorato all'esame della motivazione che deve
essere completa e logica, perché la valutazione equitativa, se non
è palesemente irragionevole, presuppone un giudizio di merito che non
può essere posto in discussione in questa sede.
Ciò premesso, il ricorso è infondato e va rigettato con condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Roma 7 novembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2008.